IV articolo del V dialogo- I parte- Gli Eroici Furori

Scritti del filosofo Nolano. Commenti su di essi e note sul suo pensiero.

IV articolo del V dialogo- I parte- Gli Eroici Furori

Messaggioda attilius743 » 03/05/2012, 8:52

IV – La farfalla e la fiamma

L’insegna del quarto articolo mostra l’immagine di una mosca che vola intorno alla fiamma e sta quasi per bruciarsi423. Il motto è Hostis non hostis, cioè un nemico non nemico. Per l’ardente amante tale è la fiamma dell’amore accesa nel suo cuore dall’amato, e l’amore richiede fedeltà: essere uno verso l’unica fenice rende bene questa legge interna dell’amore, qualunque siano le circostanze in cui l’amore stesso possa essere vissuto. Inizia qui la descrizione degli ardori del santo innamorato: un nodo è per lui l’amore che neppure la morte può sciogliere; è croce e delizia, perché l’affetto dell’amante impedisce di sentire l’effetto del fuoco, e così l’amore è celebrato nella sacra scrittura:

Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio (Ct 8,67).

Nella poesia che segue l’autore scrive che la natura, la volontà e la sorte gli hanno aperto la porta dell’amore e nessuno gliela potrà chiudere. In natura l’innamoramento è un misterioso fenomeno psicologico, grazie al quale una libera scelta porta il soggetto ad aderire al suo bene e ne rivela una precisa volontà; la sorte invece è una chiamata all’amore, un libero dono di Dio - e così lo presenta il nostro autore - perché l’amore è la santità. Ovviamente non sempre un sogno d’amore può essere coronato in terra. Sempre però permette di innescare una dinamica mistica piena di fiamme e di dolori che nascono dal lutto del desiderio, la nigredo dell’alchimista. Stento, giogo e morte sono – così dichiara Bruno - una sua scelta che giova ed è gradita, dolce, graziosa e alma: infatti il martirio è una grazia che si chiede. Tutti sono chiamati alla santità nell’amore con Cristo e in Cristo con Dio, ma non tutti al martirio, almeno a quello storico; anche se poi la croce, visibile o invisibile che sia, è comunque presente nella vita di ogni discepolo del Signore. L’amore è presentato in questo articolo come mistero di morte e resurrezione: ritorna qui la mitica immagine della fenice che nel fuoco muore e risorge. Come tutti i protagonisti dei miti, la fenice nasce in modo profetico dal sogno; il mistero divino dell’amore eroico in essa simboleggiato si è rivelato e realizzato nella storia con la morte e la resurrezione di Cristo, che si offre come compagno d’amore del cuore di ogni uomo. E mentre Dio in Cristo, perseseguendo l’uomo nell’amore, muore confitto alla croce, simbolo alchemico della quaternità dell’uomo stesso424, Bruno muore in un rogo, un fuoco circolare, simbolo di quella dimensione divina da lui sempre inseguita con eroico, furioso amore. L’incontro tra i due non poteva assumere connotati più perfetti. Il verso e tutto il contenuto di quest’articolo sono incredibilmente profetici del futuro martirio dell’autore per la difesa della sua verità e del suo amore e ne avremo in seguito altre testimonianze: insomma, anche per Bruno, come per tutti i martiri di Cristo, per crucem ad lucem425. Egli mai ha rinnegato in se stesso la sua vocazione religiosa426: è stato sempre uno verso la sua unica fenice. Come è stata possibile da parte dell’autore una tale straordinaria profezia? L’inconscio è fuori dello spazio e del tempo, e chi da esso attinge l’ispirazione poetica, la sua logica e il suo eterno lessico non può non essere anche e sempre profeta. Il nostro autore che ha qui dichiarato che stento, giogo e morte sono quanto gli serve e sceglie, per essere felice nell’amore, scrive anche: non voglio non volere quello che sì mi lice, cioè la morte e la resurrezione simboleggiata dalla fenice, il mitico uccello dell’amore e dell’Opus Magnum che appare nei sogni nel momento in cui questo si avvia alla felice, ma a volte e nello stesso tempo anche tragica conclusione427. Ove si voglia evocare in parallelo il quarto mistero del Rosario si può notare che la Presentazione al tempio di Gesù, tema del quarto mistero gaudioso, è la festa della luce, per cui nelle chiese si accendono candele. In tale occasione a Maria viene annunciata la spada del dolore, un annuncio ben diverso da quello gioioso dell’arcangelo Gabriele:

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,33-35).

Sempre chi accoglie la luce, accoglie la croce, perché chi sceglie l’amore sceglie anche il dolore, ma su questo tema avramo modo di intrattenerci ancora nel prosieguo. Nel mistero mariano Maria ai piedi della croce unificata al Cristo nel fuoco del dolore riceve nella sua anima il gladio che apre il costato di Lui. Dunque, o la croce è dentro o è fuori, o è prima o è dopo, o si tratta di morte mistica o di morte anche fisica. Riguardo alla coesistenza in un individuo di tragedia e gloria notiamo che un ancor giovane Nietzsche, nei suoi eroici furori, spiegava che sempre dietro la gioia di vivere si nasconde il dramma o la tragedia della vita, e che dietro quest’ultima sempre, anche nel momento del dolore più grande, c’è l’intuizione saporosa della gioia metafisica; come si potrebbe spiegare se no il piacere che il pubblico prova ad assistere a una tragedia o a un dramma a teatro. Egli così scriveva in proposito:

Anche l’arte dionisiaca vuole convincerci dell’eterna gioia dell’esistenza: senonché dobbiamo cercare questa gioia non nelle apparenze, ma dietro le apparenze. Dobbiamo riconoscere come tutto ciò che nasce debba essere pronto a una fine dolorosa, siamo costretti a guardare in faccia gli orrori dell’esistenza individuale- e tuttavia non dobbiamo irrigidirci: una consolazione metafisica ci strappa momentaneamente al congegno delle cose mutevoli. Per brevi attimi siamo veramente l’essere primigenio stesso e ne sentiamo l’indomabile brama di esistere e piacere di esistere, la lotta, il tormento, l’annientamento delle apparenze ci sembrano ora necessari, data la sovrabbondanza delle innumerevoli forme di esistenza che si urtano e si incalzano alla vita, data la strabocchevole fecondità della volontà del mondo; noi veniamo trapassati dal furioso pungolo di questi tormenti nello stesso attimo in cui siamo per così dire divenuti una cosa sola con l’incommensurabile gioia originaria dell’esistenza, e in cui presentiamo, in estasi dionisiaca, l’indistruttibilità e l’eternità di questo piacere. Malgrado il timore e la compassione, noi viviamo in modo felice, non come individui, in quanto siamo quell’unico vivente, con la cui gioia generativa siamo fusi428.

Tutto questo ovviamente lo sperimenta solo il furioso, l’eroe, colui che vive brunianamente in tristitia hilares e in hilaritate tristis, non l’uomo comune genere. Eraclito direbbe che il primo è desto laddove quest’ultimo dorme. Quanto alle note comuni che si riscontrano tra Bruno e Nietzsche, e avremo modo di constatarlo in una apposita appendice al testo, lo stesso Eraclito direbbe che i desti hanno un mondo unico e comune, ma ciascuno dei dormienti si ritira in un mondo proprio429. Sempre a proposito dell’unicità dell’eroe tragico come punto di riferimento del dolore e della speranza dell’uomo sempre Nietzsche scriveva:

È tradizione incontestabile che la tragedia greca, nella sua forma più antica, aveva per oggetto solo i dolori di Dioniso, e che per molto tempo l’unico eroe presente in scena fu appunto Dioniso. Con la stessa sicurezza peraltro si può affermare che fino a Euripide Dioniso non cessò mai di essere l’eroe tragico, e che tutte le figure famose della scena greca, Prometeo, Edipo, eccetera, sono soltanto maschere di quell’eroe originario. Che dietro a tutte queste maschere si nasconda una divinità, è l’unica ragione essenziale della tipica idealità, così spesso ammirata, di quelle celebri figure. Non so chi ha sostenuto che tutti gli indifvidui sono comici e pertanto non tragici: da ciò si potrebbe dedurre che i Greci in genere non potevano tollerare individui sulla scena tragica. Effettivamente sembra che che essi abbiano sentito a questo modo, e in genere la distinzione e valutazione platonica dell’idea” in antitesi all’idolo, alla copia, è profondamente radicata nella natura greca. Ma per servirci della terminologia di Platone, sulle figure tragiche della scena ellenica si potrebbe all’incirca parlare così: l’unico Dioniso veramente reale appare in una molteplicità di figure, nella maschera di un eroe in lotta, ed è per così dire preso nella rete della volontà individuale. Quanto alle parole e alle azioni del dio che appare, egli rassomiglia a un individuo che sbaglia, che lotta e che soffre; e che egli appaia in genere con questa epica determinatezza e chiarezza, è effetto dell’interprete dei sogni Apollo, che con quella simbolica apparenza chiarisce al coro il suo stato dionisiaco. Ma in verità quell’eroe è il Dioniso sofferente dei misteri, quel dio che sperimenta in sé i dolori dell’individuazione, e di cui mirabili miti narrano come da fanciullo fosse fatto a pezzi dai Titani e come poi in quello stato venisse venerato come Zagreus. Con ciò si significa che questo sbranamento, la vera e propria sofferenza dionisiaca, è come una trasformazione in aria, acqua, terra e fuoco, e che quindi dobbiamo considerare lo stato di individuazione come la fonte e la causa prima di ogni sofferenza, come qualcosa in sé detestabile. Dal sorriso di questo Dioniso sono nati gli dèi olimpici, dalle sue lacrime gli uomini. In quell’esistenza in quanto dio smembrato Dioniso ha la doppia natura di un demone crudele e selvaggio e di un dominatore mite e dolce. Ma la speranza degli epopti si appuntava su una rinascita di Dioniso, che noi dobbiamo ora presentire come la fine dell’individuazione: per la venuta di questo terzo Dioniso risuonava il fremente canto di giubilo degli epopti. E solo in questa speranza appare un raggio di gioia sul volto del mondo dilaniato, smembrato in individui: ciò è simboleggiato dal mito attraverso Demetra, immersa in eterna tristezza, che per la prima volta si rallegra di nuovo quando le si dice che può ancora una volta generare Dioniso. Nelle considerazioni citate abbiamo già riuniti tutti gli elementi di una visione del mondo profonda e pessimistica, e insieme con essi una dottrina misterica della tragedia: la conoscenza fondamentale dell’unità di tutto ciò che esiste, la concezione dell’individuazione come causa prima del male, l’arte come lieta speranza che il dominio dell’individuazione possa essere spezzato, come presentimento di una ripristinata unità430.

Quanto sia importante questo passo di Nietzsche in se stesso, ma anche per un’esatta comprensione di Bruno, lo giudichi il lettore iniziato. Per S. Juan il Dioniso storico e non più solo mitico era Cristo e, nonostante tanti equivoci, lo era anche per Bruno; nell’appendice di cui si parlava cercheremo di illustrare come, alla fine della sua vita, anche Nietzsche giunse a individuare in Cristo il suo Dio ignoto, il suo mitico Dioniso431. Ci sembra pertanto che Bruno si situi nel mezzo tra Juan de la Cruz e Friedric Nietzsche, nell’annunciare un quasi identico messaggio alchemico. Tutti e tre sono mistici, tutti e tre alchimisti letterari, tutti e tre poeti, ma come già si diceva, il primo è un religioso e del religioso usa il linguaggio soave della devozione e nel commento quello obbligatorio ma più arido della Scolastica, Bruno scrive da professore per gente colta e iniziata alla filosofia e alla spiritualità neoplatonica e orientaleggiante, il terzo con il suo stile intemperante, i suoi lampi di follia ma anche di genio, scrive più che da filosofo da artista puro432. Anche le poesie di Bruno hanno punte straordinarie di lirica, pur se strette nella camicia di forza di un fine eminentemente pedagogico. A me sembra che, prescindendo dalla dichiarata grande santità del primo, lo sforzo di Bruno di sistemazione letteraria dell’Ars Magna possa diventare, perché non lo è ancora, utile quanto gli altri perché, come tutti i classici, è fruibile ancora ai nostri giorni.

----

Cicada – Che significa qua quella mosca che vola intorno alla fiamma e sta quasi per bruciarsi, e che vuol dire quel motto: Hostis non hostis? (nemico non nemico).
Tansillo - Non è molto difficile il significato della farfalla che, sedotta dalla vaghezza dello splendore, va a incorrere innocente e senza difesa nelle fiamme mortali, per cui hostis sta scritto per l’effetto del fuoco, non hostis per l’affetto della mosca. Hostis per la mosca passivamente, non hostis, attivamente. Hostis la fiamma per l’ardore, non hostis per lo splendore.
Cicada - E cosa sta scritto nella tabella?
Tansillo

Mai fia che dell’amor io mi lamenti,
senza del qual non voglio esser felice;
sia pur ver che per lui penoso stenti,
non voglio non voler quel che sì mi lice.
Sia chiar o fosco il cielo, freddo o ardente,
sempre uno sarò verso l’unica fenice.
Mal può disfar altro destin o sorte
quel nodo che non può scioglier la morte.
Al cuore, allo spirito e all’alma
non è piacere, libertà, o vita,
che tanto arrida, giovi e sia gradita,
che più sia dolce, graziosa e alma,
che stento, giogo e morte,
che ho per natura, volonta e sorte.


Qui la figura mostra il paragone che si può stabilire tra il furioso e la farfalla attratta dalla sua luce; i versi invece rivelano la differenza e la difformità, poiché mentre si crede comunemente che se l’insetto presagisse la sua rovina piuttosto che avvicinarsi alla luce la sfuggirebbe - stimando un male il perdere il proprio essere dissolvendosi in quel fuoco nemico - a costui il dissolversi nelle fiamme ardenti della passione non dispiace meno dell’essere attratto a contemplare la bellezza di quel raro splendore, vicino al quale, per inclinazione naturale, scelta volontaria e decisione del destino si affanna, diviene schiavo e muore più contento, più deciso e più valoroso che per qualsiasi altro piacere offerto al cuore, libertà concessa allo spirito e vita che si ritrovi nell’anima.
Cicada – Dimmi perché dice sempre uno sarò?
Tansillo - Poiché gli sembra giusto dare ragione della sua costanza, dal momento che il sapiente muta con la luna e lo stolto come la luna, così egli si dichiara unico, come unica è la fenice433.


423 Nel prosieguo sarà detta farfalla, simbolo che compare anche nell’opera di S. Teresa d’Avila. Cfr S. TERESA D’AVILA, Il castello interiore, in Op. cit. p. 831ss. La santa a p. 844 scrive delle metamorfosi del verme che deve assolutamente morire per diventare farfalla grazie al fuoco dell’amore.
424 Anche la fine di Bruno si realizzerà alla sua sequela. Il Crocifisso lo rifiuta dalla mano degli aguzzini. Per quaternità e simbolo della croce cfr Intr. a p. 32.
425 Martire significa in greco testimone. Bruno è stato, come Cristo, condannato dalle autorità religiose e ucciso dal potere politico-militare.
426 Cfr anche come parla dell’Eremo nello Spaccio: Là dove risiede ancora il Capricorno, vedi l’Eremo, la Solitudine, la Contrazione e altre madri, compagne e ancelle che si ritirano nel campo dello Scioglimento di tutti i legami (appunto la libertà evangelica) e della Libertà, nel quale non sta sicura la Conversazione, il Contratto, la Curia, il Convivio ed altri appartenenti a questi figli, compagni e amministratori. Coniugato con la Contrazione (di cui si tratta nella nota 137) l’Eremo è il luogo dove lo studio e la preghiera sono ancora al sicuro, contrariamente a quanto accade nei conventi e nelle curie. Il cristianesimo è visto così come il pusillus grex del vangelo. Queste sono le vere note di contestazione, oltre che del cristianesimo greco, del cristianesimo di massa. In altre opere successive ce ne sara qualcun’altra più esplicita, ma sempre da riferirsi al malcostume generale nella Chiesa, mai alla Chiesa come istituzione. Essa resta in cielo, insieme al santo Sacerdozio, all’Altare e l’Episcopato, verso il quale l’autore, come un qualunque religioso richiede Ossequio, Obbedienza, Consenso, e virtuosa Emulazione.
427 A volte è una cicogna.
428 La nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 1972, pp. 111-112.
429 Cfr COLLI G., La sapienza greca, III Eraclito, Frammento 14 (A96), p. 91; Fr 14 (A 93), p. 93; 14 (A 99), p. 95., Adelphi, Milano 1980. Rappresentarsi di fare e di dire è espressione che ha come suo contrario “apprendere le cose secondo il nascimento” (cioè secondo la natura allo stato nascente). Il mondo dei dormienti di Eraclito è invero il mondo dell’illusione: un palcoscenico su cui tante comparse recitano commedie o drammi diversi, a seconda della maschera in cui sono avviluppate; maschere che non si sa di avere e che non ci si toglie neppure per rapportarsi con se stessi; cfr anche Fr 14 (A 15), p. 33.
430 La nascita della tragedia, pp. 71-73.
431 Lo si udì esclamare: “Che strano, Dioniso crocifisso?”.
432 Nietzsche, Op. cit. p. 7: Qui parla … un’anima mistica e quasi di Menade, che balbetta con sforzo … Avrebbe dovuto cantare, quest’anima nuova – e non parlare! Che peccato che io, ciò che allora avevo da dire, non abbia osato dirlo da poeta: forse lo avrei potuto!
433 Il sapiente cambia solo l’umore, lo stolto cambia la faccia, a secondo che sperimenti la luce o la tenebra. Cfr Sir 27,11: Nel discorso del pio c’è sempre saggezza, lo stolto muta come la luna.


Raffaella Ferragina

Per lasciare un commento cliccare sul tasto INTERPRETA sulla sinistra
«Ma nessun albero nobile, di alto fusto, ha mai rinunciato alle sue oscure radici. Esso cresce non soltato verso l'alto, ma anche verso il basso.» C. G. Jung

Immagine
Avatar utente
attilius743
 
Messaggi: 3172
Iscritto il: 19/02/2010, 12:24

Re: IV articolo del V dialogo- I parte- Gli Eroici Furori

Messaggioda Aslan » 01/10/2012, 11:26

Il tema della Falena e della Candela è presenta anche in ambiente mediorientale. Mirza Khan Ansari, poeta e mistico di etnia Pashtun, vissuto in Afghanistan nel 1600, canta l'insensato amore della falena per la candela...

Alle sue parole si sono ispirati Angelo Branduardi e i Radiodervish per due bellissime canzoni... Ecco i testi e i link...

La Falena e la Candela - Radiodervish

http://www.youtube.com/watch?v=AK55ZrnlKPo

Ti veste soltanto la luce
mi dici parole d'amore
conosciute mai
Lontano da qui
Ricordo dell'unica falena
che non tornerà.

Astratta fontana di luce
sognata un lunghissimo istante
Forse porterai
Lontano da qui
Ricordo dell'unica falena
che m'amava già.

(In arabo)
Sapere che il Tutto è Uno
Sentire che l'Uno è il Tutto
Tra di noi c'è solo l'Io
Che mi tiene lontano da te.


La candela e la falena - Angelo Branduardi

http://www.youtube.com/watch?v=E1LnbGJal5w

Io ti canto dolce candela
che tu sia di tua luce amante,
sono la fiamma e la falena
come verità ed amore.
Per amore danzo nel fuoco,
per te l'amo... non ho altro amore.
La mia passione si spegnerà
nella fiamma che consuma.

Nella luce io danzo, per il fuoco d'amore
Amo il fuoco per te.. .altro amore non ho.
Ora danzi nel nulla, le tue nozze d’amore
In quel vollo insensato brucerai le tue ali.

Io ti canto bella falena
che tu sei di mia luce amante.
tu non conosci la verità...
Il tuo volo è un'illusione.
Amo me stessa e la mia morte
con me arde il fuoco, non io nel fuoco
Quando all'alba mi spegnerò
di me traccia non resterà.

Nella luce io danzo, per il fuoco d'amore
Amo il fuoco per te... altro amore non ho.
Ora danzi nel nulla, le tue nozze d’amore
In quel vollo insensato brucerai le tue ali.
Non coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est. - S. Ignazio di Loyola

Immagine
Avatar utente
Aslan
 
Messaggi: 3453
Iscritto il: 26/04/2010, 13:52


Torna a Il Pensiero di Giordano Bruno

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite

cron