VI articolo del V dialogo- I parte- Gli Eroici Furori

Scritti del filosofo Nolano. Commenti su di essi e note sul suo pensiero.

VI articolo del V dialogo- I parte- Gli Eroici Furori

Messaggioda attilius743 » 28/05/2012, 18:51

VI – La fenice: l’intelletto collettivo unico in tutti

Con l’immagine di una fenice volante verso la quale è volto un fanciullo che brucia in mezzo alle fiamme e con il motto: Fata obstant (i fati sono avversi, o contrari), si entra nella contemplazione del sesto mistero di questo quinto dialogo. La fenice è il mitico glorioso uccello simbolo del completamento dell’Opus alchemico che Bruno ha già evocato nel precedente quarto articolo con il verso uno sarò verso l’unica fenice, ma qui l’idea della gloria è vista nel confronto con il dolore umano e la morte con tutte le sue incognite. Si celebra la gloria della fenice: tu certo torni a riveder tua luce, ma anche la costante agonia dell’Io empirico individuale dell’uomo che, al contrario della fenice, converte la vita in morte e soffre dovunque va. La vita dell’amante di quest’articolo è presentata come una perenne agonia, e il sesto mistero del Rosario, che è il primo dei dolorosi, contempla l’agonia di Gesù nel Gethsemani ; l’insegnamento richiama quello di Giovanni il battista in Gv 3, 30: Egli (Gesù) deve crescere e io invece diminuire.
Il bambino, nel linguaggio onirico usato dall’alchimia, è simbolo dell’avvenire dell’uomo, per cui quello presentato in questo quadro è anche figura profetica del destino dell’autore; lo era del resto anche la farfalla attirata dallo splendore della fiamma. In un registro soggettivo, Bruno dice di sé: io ho breve fine, che pronta s’offre per mille ruine, mostrando di sapere prima del tempo, anche se solo su un livello subliminale come attraverso un sogno, il tipo di morte che lo aspettava, ma sapeva anche che proprio questa avrebbe significato il pieno successo della sua alchemica trasmutazione. Oltre a un tale impressionante lirismo, l’articolo contiene l’importante insegnamento dell’unicità della natura umana; cioè il concetto dell’Adam kadmon nella qabbalah, dell’Antropos e dell’Homo major nella sana gnosi, del Sè nella filosofia alchemica, concetti tutti più o meno uguali. L’umanità, vista come le voci diverse di un unico verbo essere, con vari modi e vari tempi, può essere simboleggiata dalla croce, sacra Tetractys pitagorica o quaternità di Maria Prophetissa ; ad essa debbono essere conformati tutti gli uomini, di qui il mito del letto di Procuste . Per quanto riguarda il simbolo della croce, commentando un sogno che presentava il tema di quattro serpenti Jung scrive:

L’ordine nel quale i serpenti si dispongono nei quattro angoli denota un ordine dell’inconscio. È come se preesistesse uno schema, una pianta, una specie di tetractys pitagorica. Ho osservato con molta frequenza il numero quattro in simili casi. Probabilmente è questa la spiegazione della diffusione universale e del significato magico della croce o del circolo quadripartito. Nel caso presente, il problema sembra essere quello di catturare e regolare gli istinti animali, scongiurando il pericolo di cadere nell’incoscienza. Questo potrebbe essere forse il fondamento empirico della croce che vince le potenze delle tenebre .

L’Io, che è solo una delle quattro funzioni della psiche, si trasforma nel Sé, quando giunto alla fine dell’Opus, alla funzione differenziata dell’Io si aggiungono, anche se mai in modo assoluto, quelle solo parzialmente differenziate dell’Ombra e dell’Anima-Animus, nonché quella divino-demonica del Sé profondo totalmente indifferenziata (in genere rappresentata nei sogni da alberi, animali o elementi cosmici). Dunque per l’Io dell’uomo nel confronto con il Sé fata obstant, nel senso che mentre l’Intelletto unico in tutti, che si evolve dal Sé profondo, è destinato alla gloria, quello personale alla sua fine. Il primo si riveste man mano di un corpo glorioso, laddove il corpo carnale, che riveste l’intelletto personale, proviene per evoluzione dalle specie inferiori, appartiene al regno della materia e nella materia si dissolve. La differenza tra i due corpi la coglie Paracelso quando distingue il corpo corruttibile dalla mumia balsamita. Egli non aveva un buon concetto del corpo fisico, che – come da lui riporta Jung - è per lui malum ac putridum (cattivo e putrido) e che se è vivo, lo deve esclusivamente alla mumia perché per se stesso tende soltanto a imputridire e a trasformarsi di nuovo in fango . Alla dottrina di Paracelso - davvero difficile da comprendere, anche nel commento illuminante fatto da Jung, perché contiene un sapere mistico che trascende la cultura comune - Bruno fa sempre riferimento per cui non si può non ribadire ancora una volta che senza la sintesi del sapere alchemico fatta da Jung, è impossibile oggi leggere correttamente Giordano Bruno.

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Tansillo - Appresso vedo disegnata l’immagine di una fenice volante verso la quale è volto un fanciullo che brucia in mezzo alle fiamme, e vi è il motto: Fata obstant . E, per capire meglio si leggano i versi che seguono:

Unico augel del sol, vaga fenice,
che appareggi col mondo gli anni tui,
quai colmi nell’Arabia felice:
tu sei chi fosti, io son quel che non fui .
Io per caldo d’amor muoio infelice;
ma te ravviva il sol coi raggi sui.
Tu bruci in uno, e io in ogni loco;
io da Cupido, tu hai da Febo il foco.
Hai termini prefissi
di lunga vita, e io ho breve fine,
che pronta s’offre per mille ruine;
né so quel che vivrò, né quel che vissi.
Me cieco fato adduce,
tu certo torni a riveder tua luce.


Da quanto è detto nei versi si può verificare che nella figura sono rappresentati i destini antitetici della fenice e dell’amante, dove il motto Fata obstant non significa che i fati sono avversi al fanciullo o alla fenice, o all’uno e all’altra, ma che non sono gli stessi, che i decreti del fato per l’uno e per l’altra sono diversi e opposti, perché la fenice è la stessa di quella che fu , la stessa materia attraverso il fuoco si rinnova per essere corpo di fenice e lo stesso spirito e la stessa anima vengono a darle forma; l’amante invece è quello che non fu, perché il soggetto che è di uomo, prima fu di qualche altra specie, secondo innumerevoli differenze. Per cui si sa cosa fu la fenice, e si sa quel che sarà, al contrario dell’amante che non può tornare a rivestirsi della stessa forma o di una forma naturale simile, se non per incerti mezzi. Inoltre, mentre la fenice al cospetto del sole converte la morte in vita, questi al cospetto dell’amore converte la vita in morte; quella accende il rogo sul suo aromatico altare , questi invece lo trova e lo porta con sé ovunque vada ; quella ha termini certi di lunga vita, questi per infinite differenze di tempo e per innumerevoli circostanze ha termini incerti di breve vita; infine, quella si accende con la certezza di rivedere il sole, questi con il dubbio.
Cicada – Che cosa credete voi possa figurare tutto questo?
Tansillo - La differenza che c’è tra l’intelletto inferiore, che chiamano intelletto di potenza (o possibile o passibile) - il quale è incerto, con varie differenze e multiforme - e l’intelletto superiore, che è forse quello che è visto dai Peripatetici come l’infima delle intelligenze e che immediatamente influisce su tutti gli individui dell’umana specie, e che è detto intelletto agente e attuante. Questo intelletto unico specifico umano che agisce in tutti gli individui è come la luna che non prende altra specie che quella unica che sempre si rinnova per la conversione che fa al sole, che è la prima e universale intelligenza; mentre l’intelletto umano individuale e numeroso viene, come gli occhi, a voltarsi verso innumerevoli e diversissimi oggetti onde, secondo gli infiniti gradi che ci sono secondo tutte le forme naturali, viene ad assumere le infinite forme che hanno i molteplici oggetti osservati. Succede così che questo intelletto particolare è furioso, vago e incerto, mentre quello universale è quieto, stabile e certo sia per quanto concerne il desiderio , sia per quanto concerne la comprensione. O anche, come facilmente puoi vedere da te stesso, viene significata la natura dell’apprensione e dell’appetito senso, che è vaga, varia, incostante e incerta, rispetto a quella del concetto e dell’intelligenza che è definita ferma e stabile; la differenza dell’amor sensuale, che non ha certezza né discrezione di oggetti, dall’amore intellettivo che mira a un oggetto certo e unico. Verso tale oggetto è rivolto l’amante, ne è illuminato nel concetto, ne è acceso nell’affetto, e per esso s’infiamma, s’illustra e da esso è mantenuto in unità, identità e stato.

Raffaella Ferragina

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«Ma nessun albero nobile, di alto fusto, ha mai rinunciato alle sue oscure radici. Esso cresce non soltato verso l'alto, ma anche verso il basso.» C. G. Jung

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