Cicada - Mi sembra che conseguenza di quanto si è detto finora e suo simbolo sia l’insegna che si vede nello scudo che segue, in cui compare una ruvida e frondosa quercia scossa da un vento che soffia con intorno il motto: Ut robori robur, che vuol dire affinché alla forza (sia, si aggiunga) forza. Vicino è acclusa una tavola che dice:
Annosa quercia, che i tuoi rami spandi
nell’aria, e fermi le radici in terra;
né terra smossa, né spiriti grandi,
che dall’aspro Aquilone il ciel disserra,
né quanto fia che il verno orrido mandi,
dal luogo ove stai salda, mai ti sferra;
mostri della mia fede ritratto vero,
che mai smossa strani accidenti fêro.
Tu lo stesso terreno
sempre abbracci, fai colto e comprendi,
e di lui per le viscere distendi
radici grate al generoso seno:
io ad un sol oggetto
ho fisso spirto, senso e intelletto523.
Tansillo - Il motto è aperto nel suo significato: l’ardente amante si vanta di essere forte e robusto come il rovere524 e - come in quell’altro motto - di essere sempre identico rispetto all’unica fenice; e anche - come nel motto che precede nel quale l’innamorato si faceva simile alla luna (ma non quando quest’astro si trova interposto tra la terra e il sole, perché allora cambia sempre davanti ai nostri occhi, quando è invece costantemente bella e splendente perché sempre riceve in sé costante quantità di splendore solare. Contro gli aquiloni e i tempestosi inverni egli resta costante e fermo per la fermezza che ha nell’astro in cui è piantato con l’affetto e la volontà, proprio come la ben radicata quercia che tiene le sue radici intrecciate con le vene della terra.
Cicada – Stimo più l’essere nella tranquillità e lontano da ogni molestia che il trovarsi in una sì forte capacità di sopportazione.
Tansillo - C’è una delle sentenze degli Epicurei525 che, rettamente intesa, non sembrerà così profana come sembra agli ignoranti, visto che non toglie che quel che ho detto sia virtù, né è di pregiudizio alla perfezione della costanza, ma piuttosto aggiunge alla perfezione, così come è pensata comunemente: questo eroico innamorato non stima vera e piena virtù di fortezza e costanza quella che sente e comporta degli incomodi, ma quella che li sopporta come se non li sentisse; non stima compìto amor divino ed eroico quello che sente sprone, freno, rimorso o pena per altro amore, ma quello che di fatto non ha proprio il senso di altri affetti, per cui è talmente congiunto a un solo piacere che non c’è dispiacere alcuno, per quanto potente sia, che possa distoglierlo o farlo incespicare in qualche punto. E tale stato consente di toccare la somma beatitudine, provare voluttà e non sentire il dolore.
Cicada – L’opinione comune non intende in tal senso il pensiero di Epicuro.
Tansillo - Perché non leggono i suoi libri nè quelli di coloro che riportano le sue tesi senza preconcetti, al contrario di quanti si limitano a studiare di lui solo il corso della vita e il termine della morte526, laddove lo stesso filosofo dettò con queste parole il principio del suo testamento:
Essendo nell’ultimo e, nello stesso tempo, felicissimo giorno della nostra vita, abbiamo ordinato questo con mente quieta, sana e tranquilla; perché quantunque grandissimo dolor di calcoli ci tormentasse da un canto, quel tormento veniva tutto assorbito dal piacere delle cose che avevamo scoperto e dalla considerazione del fine527.
Ed è noto che egli non poneva felicità più che dolore nel mangiare, bere, riposare e generare, ma nel non sentire fame, né sete, né fatica, né libidine. Da questo puoi considerare quale sia, secondo noi la perfezione della costanza: non già nel fatto che l’albero non si rompa, non si spezzi o non si pieghi, ma nel fatto che nemmeno si smuova. A tale similitudine il poeta tiene fisso lo spirito, il senso e l’intelletto, là dove di eventuali tempestosi insulti neppure ha sentimento.
Cicada - Intendete dire che sia cosa desiderabile che siano comportati dei tormenti, perché sono cose da forti?
Tansillo - Ciò che voi chiamate comportare fa parte della costanza, ma non costituisce l’intera virtù rispetto a quanto io definisco fortemente comportare, e che Epicuro chiamava il non sentire. Questo non sentire deriva dal totale assorbimento nella cura della virtù, vero bene e felicità. Fu così che Regolo non sentì il tormento della botte chiodata in cui fu rinchiuso, Lucrezia del pugnale, Socrate del veleno, Anassarco della pila, Scevola del fuoco, Coclite del baratro, e altri che furono virtuosi in altre cose che invece tormentano e fanno orrore a persone mediocri e vili258.
Cicada - Andiamo avanti.
523 Per questo sonetto Bruno si è ispirato a L. Tansillo, Poesie liriche, CL.
524 Robur in latino è sia quercia sia rovere, comunque legni molto duri.
525 EPICURO, Epistola a Meneceo, 131-132*.
526 La sola biografia. Ancora oggi quante opinioni erronee si fanno gli studiosi perché non sempre leggono i testi originali dei vari autori, ma si limitano a prendere idee l’uno dall’altro che lo ha preceduto, perpetuando per secoli gravissimi errori. Questo è sucesso in modo tutto particolare proprio per i testi bruniani.
527 La frase è l’inizio della Lettera a Ermarco di Epicuro, nella trascrizione di Diogene Laerzio, Vite, X, 22. Cfr anche CICERONE, De Finibus, I,30,96.
528 Bruno cita diversi personaggi antichi passati alla storia per il coraggio e il disprezzo della morte per un ideale superiore: il console romano Marco Attilio Regolo che, per non tradire Roma, accettò la morte in una botte irta di chiodi in cui i cartaginesi lo rinchiusero facendolo poi rotolare da una collina; Lucrezia della nobile famiglia romana dei Gracchi che non volle sopravvivere all’onta dello stupro e si tolse la vita con un pugnale; Caio Muzio Scevola che si autopunì bruciando la mano destra per aver fallito nel tentativo di uccidere il lucùmone etrusco Porsenna, l’eroe romano Orazio Coclite che da solo bloccò l’esercito dello stesso Porsenna al ponte Sublicio che demolì, incurante della morte, buttandosi con tutta l’armatura nel Tevere con i resti del ponte stesso; il filosofo greco Socrate che preferì la morte bevendo la cicuta pur di non trasgredire ai suoi convincimenti etici; il filosofo cinico, Anassarco che, come racconta Diogene Laerzio nelle sue Vite, fu schiacciato dentro un mortaio, per ordine del Satrapo Nicocreonte.
Giordano Bruno
Il commento della prof. Raffaella Ferragina verrà pubblicato prossimamente in risposta a questo topic.
Per lasciare un commento cliccare sul tasto INTERPRETA sulla sinistra