IX articolo del V dialogo- I parte- Gli Eroici Furori

Scritti del filosofo Nolano. Commenti su di essi e note sul suo pensiero.

IX articolo del V dialogo- I parte- Gli Eroici Furori

Messaggioda attilius743 » 26/06/2012, 14:39

Cicada - Mi sembra che conseguenza di quanto si è detto finora e suo simbolo sia l’insegna che si vede nello scudo che segue, in cui compare una ruvida e frondosa quercia scossa da un vento che soffia con intorno il motto: Ut robori robur, che vuol dire affinché alla forza (sia, si aggiunga) forza. Vicino è acclusa una tavola che dice:

Annosa quercia, che i tuoi rami spandi
nell’aria, e fermi le radici in terra;
né terra smossa, né spiriti grandi,
che dall’aspro Aquilone il ciel disserra,
né quanto fia che il verno orrido mandi,
dal luogo ove stai salda, mai ti sferra;
mostri della mia fede ritratto vero,
che mai smossa strani accidenti fêro.
Tu lo stesso terreno
sempre abbracci, fai colto e comprendi,
e di lui per le viscere distendi
radici grate al generoso seno:
io ad un sol oggetto
ho fisso spirto, senso e intelletto523.


Tansillo - Il motto è aperto nel suo significato: l’ardente amante si vanta di essere forte e robusto come il rovere524 e - come in quell’altro motto - di essere sempre identico rispetto all’unica fenice; e anche - come nel motto che precede nel quale l’innamorato si faceva simile alla luna (ma non quando quest’astro si trova interposto tra la terra e il sole, perché allora cambia sempre davanti ai nostri occhi, quando è invece costantemente bella e splendente perché sempre riceve in sé costante quantità di splendore solare. Contro gli aquiloni e i tempestosi inverni egli resta costante e fermo per la fermezza che ha nell’astro in cui è piantato con l’affetto e la volontà, proprio come la ben radicata quercia che tiene le sue radici intrecciate con le vene della terra.
Cicada – Stimo più l’essere nella tranquillità e lontano da ogni molestia che il trovarsi in una sì forte capacità di sopportazione.
Tansillo - C’è una delle sentenze degli Epicurei525 che, rettamente intesa, non sembrerà così profana come sembra agli ignoranti, visto che non toglie che quel che ho detto sia virtù, né è di pregiudizio alla perfezione della costanza, ma piuttosto aggiunge alla perfezione, così come è pensata comunemente: questo eroico innamorato non stima vera e piena virtù di fortezza e costanza quella che sente e comporta degli incomodi, ma quella che li sopporta come se non li sentisse; non stima compìto amor divino ed eroico quello che sente sprone, freno, rimorso o pena per altro amore, ma quello che di fatto non ha proprio il senso di altri affetti, per cui è talmente congiunto a un solo piacere che non c’è dispiacere alcuno, per quanto potente sia, che possa distoglierlo o farlo incespicare in qualche punto. E tale stato consente di toccare la somma beatitudine, provare voluttà e non sentire il dolore.
Cicada – L’opinione comune non intende in tal senso il pensiero di Epicuro.
Tansillo - Perché non leggono i suoi libri nè quelli di coloro che riportano le sue tesi senza preconcetti, al contrario di quanti si limitano a studiare di lui solo il corso della vita e il termine della morte526, laddove lo stesso filosofo dettò con queste parole il principio del suo testamento:

Essendo nell’ultimo e, nello stesso tempo, felicissimo giorno della nostra vita, abbiamo ordinato questo con mente quieta, sana e tranquilla; perché quantunque grandissimo dolor di calcoli ci tormentasse da un canto, quel tormento veniva tutto assorbito dal piacere delle cose che avevamo scoperto e dalla considerazione del fine527.

Ed è noto che egli non poneva felicità più che dolore nel mangiare, bere, riposare e generare, ma nel non sentire fame, né sete, né fatica, né libidine. Da questo puoi considerare quale sia, secondo noi la perfezione della costanza: non già nel fatto che l’albero non si rompa, non si spezzi o non si pieghi, ma nel fatto che nemmeno si smuova. A tale similitudine il poeta tiene fisso lo spirito, il senso e l’intelletto, là dove di eventuali tempestosi insulti neppure ha sentimento.
Cicada - Intendete dire che sia cosa desiderabile che siano comportati dei tormenti, perché sono cose da forti?
Tansillo - Ciò che voi chiamate comportare fa parte della costanza, ma non costituisce l’intera virtù rispetto a quanto io definisco fortemente comportare, e che Epicuro chiamava il non sentire. Questo non sentire deriva dal totale assorbimento nella cura della virtù, vero bene e felicità. Fu così che Regolo non sentì il tormento della botte chiodata in cui fu rinchiuso, Lucrezia del pugnale, Socrate del veleno, Anassarco della pila, Scevola del fuoco, Coclite del baratro, e altri che furono virtuosi in altre cose che invece tormentano e fanno orrore a persone mediocri e vili258.
Cicada - Andiamo avanti.


523 Per questo sonetto Bruno si è ispirato a L. Tansillo, Poesie liriche, CL.
524 Robur in latino è sia quercia sia rovere, comunque legni molto duri.
525 EPICURO, Epistola a Meneceo, 131-132*.
526 La sola biografia. Ancora oggi quante opinioni erronee si fanno gli studiosi perché non sempre leggono i testi originali dei vari autori, ma si limitano a prendere idee l’uno dall’altro che lo ha preceduto, perpetuando per secoli gravissimi errori. Questo è sucesso in modo tutto particolare proprio per i testi bruniani.
527 La frase è l’inizio della Lettera a Ermarco di Epicuro, nella trascrizione di Diogene Laerzio, Vite, X, 22. Cfr anche CICERONE, De Finibus, I,30,96.
528 Bruno cita diversi personaggi antichi passati alla storia per il coraggio e il disprezzo della morte per un ideale superiore: il console romano Marco Attilio Regolo che, per non tradire Roma, accettò la morte in una botte irta di chiodi in cui i cartaginesi lo rinchiusero facendolo poi rotolare da una collina; Lucrezia della nobile famiglia romana dei Gracchi che non volle sopravvivere all’onta dello stupro e si tolse la vita con un pugnale; Caio Muzio Scevola che si autopunì bruciando la mano destra per aver fallito nel tentativo di uccidere il lucùmone etrusco Porsenna, l’eroe romano Orazio Coclite che da solo bloccò l’esercito dello stesso Porsenna al ponte Sublicio che demolì, incurante della morte, buttandosi con tutta l’armatura nel Tevere con i resti del ponte stesso; il filosofo greco Socrate che preferì la morte bevendo la cicuta pur di non trasgredire ai suoi convincimenti etici; il filosofo cinico, Anassarco che, come racconta Diogene Laerzio nelle sue Vite, fu schiacciato dentro un mortaio, per ordine del Satrapo Nicocreonte.


Giordano Bruno

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Re: IX articolo del V dialogo- I parte- Gli Eroici Furori

Messaggioda attilius743 » 27/06/2012, 20:14

IX – La quercia: non sopportare, ma piuttosto non sentire

Nello scudo simbolo del nono innamorato compare una ruvida e ramosa quercia; il motto per tale immagine è Ut robori robur, che vuol dire affinché alla forza (sia o si aggiunga) forza. Robur significa fermezza, costanza, ma significa anche quercia, rovere, legno durissimo, luogo o strumento di supplizio. Il significato di fermezza sembra prevalente, ma nella poesia che segue a spiegazione del motto appare proprio la parola quercia. Così, sia la quercia sia la fortezza di cui è simbolo sono da riferirsi alla fedeltà nell’amore518.
La luce che promana dai simboli della natura è la stessa che promana da quelli della Scrittura. In entrambe le vesti essa insegna agli uomini le stesse leggi eterne dell’amore. Sacramenti dell’unica luce increata queste due fonti di rivelazione sono in perfetta corrispondenza, anche se, come insegna l’intero libro del Qoelet, la rivelazione naturale all’uomo peccatore resta in genere velata.
Con il suo motto l’eroico furioso dice qui che non si limiterà a sopportare le avversità e a superare gli ostacoli che lo dividono dall’oggetto amato, ma in una tensione di estrema fedeltà non intende nemmeno sentirli. Nella stessa chiave di teologia spirituale anche santa Teresa presenta una dottrina simile e, proprio nello stile di questa grande santa, l’insegnamento di questo nono articolo può essere così sintetizzato: “Quello che non è Dio è niente e come niente deve essere trattato”. Ella aggiunge anche in merito che il demonio tentatore, mentre non perde tempo con le anime ben determinate, tormenta quelle che non lo sono519. Per il nostro autore la perfezione della costanza non sta nel fatto che l’albero non si rompa, non si spezzi e non si pieghi, ma nel fatto che nemmeno si smuova, e non si smuove perché ha salde radici in terra. In questo la quercia mostra della sua fede ritratto vero: avere le radici in terra significa per lui che la sua fede non è poggiata solo sull’adesione della volontà alla verità rivelata ma anche sul contatto mistico che, grazie al suo lavoro alchemico sull’inconscio, può stabilire tra la consapevolezza della coscienza e il profondo, cioè il Cristo interiore.
Bruno qui, dando ulteriore testimonianza della sua fede in Dio, dichiara che a lui soltanto è affisso lo spirto, il senso e l’intelletto. La sua però non è una religione proiettiva sospesa nell’aria, essa ha radici profonde nel grembo della natura; e avere le radici in terra significa curare l’approfondimento alchemico. La fede resta sempre una noche oscura, come insegna S. Juan, ma per l’alchimista l’oscurità non è tale da non ricevere almeno la “luce lunare” che sale dall’inconscio a illuminare il cielo interiore dell’uomo di preghiera, pur se in tutte le sue varie fasi crecenti e decrescenti. E questo è anche l’insegnamento dei Padri della Chiesa a cui Bruno fa implicito ma continuo riferimento. Non è solo sant’Agostino che invita a cercare Cristo dentro di sé; ecco un brano tratto dalle Omelie di un altro dei grandi Padri della Chiesa, San Gregorio di Nissa:

… il Signore dice che la felicità non consiste nel conoscere qualche verità su Dio, ma nell’avere Dio in se stessi: “Beati – infatti – i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Mi pare che Dio voglia mostrarsi faccia a faccia a colui che ha l’occhio dell’anima ben purificato, però secondo quanto dice Cristo: “Il regno di Dio è dentro di voi (cfr Lc 17,21)”. Chi ha purificato il suo cuore può contemplare l’immagine della divina natura nella bellezza della sua stessa anima. Se dunque laverai le bruttura che hanno coperto il tuo cuore520, risplenderà in te la divina bellezza. Come il ferro liberato dalla ruggine splende al sole, così anche l’uomo interiore, quando avrà rimosso da sé la ruggine del male, recupererà la somiglianza con la forma originale e primitiva e sarà buono.
Quindi chi vede se stesso, contempla ciò che desidera in se stesso. In tale modo diviene beato chi ha il cuore puro, perché mentre guarda la sua purità, scorge, attraverso ques’immagine, la sua prima e principale forma. Coloro che vedono il sole in uno specchio, benché non fissino i loro occhi in cielo, vedono il sole non meno bene di quelli che guardano direttamente l’astro luminoso.
Così anche voi benché le vostre forze non siano sufficienti per scorgere e contemplare la luce inaccessibile, se ritornerete alla grazia originaria troverete in voi ciò che cercate. La divinità infatti è purezza, è assenza di vizi e di passioni, è lontananza da ogni male. Se dunque queste realtà sono in te, Dio è senz’altro in te. … Allora sarai felice per l’acutezza e la limpidezza della vista; … avrai la beata visione della pura serenità del cuore. E questo sublime spettacolo in che cosa consiste? Nella santità, nella purezza, nella semplicità e in tutti i luminosi splendori della natura divina per mezzo dei quali si vede Dio521.


Bruno non insegna nulla di diverso. Eppure, quando non se ne hanno nozioni esatte, non solo la sua dottrina ma anche l’antica psicologia alchemica non è vista di buon occhio nell’ambito ecclesiale di oggi; e non è raro trovare ecclesiastici che temono l’intervento della stessa psicologia moderna, perché dicono che sia a danno della fede ma, se si deve riconoscere che può esserci una psicologia con radici filosofiche materialistiche, non così succede per l’alchimia. L’alchimia spirituale di Bruno, ad es., non è mai in contrasto con la fede, né può esserlo, perché la sofia celeste e quella terrestre sono per lui, anche se in linguaggi diversi, perfettamente a specchio; e questo non fa che testimoniare ulteriormente la verità della fede cristiana. Nella dottrina del nostro autore l’uomo che cerca la verità immortale deve imparare a situarsi tra Natura e Scrittura, perché è proprio la verità del cristianesimo che insegna tale equilibrio e fa di un uomo l’Uomo vero unico in tutti, l’Anthropos, il Cristo.
In questo articolo Bruno dà l’esatta interpretazione di una difficile sentenza di Epicuro, un filosofo non sempre ben compreso dai tanti che – come scrive il nostro autore - si dicono professori di filosofia ma dei grandi pensatori si limitano a studiare i soli termini della vita e della morte, senza investigarne il pensiero e senza nemmeno accertarsi delle precedenti altrui opinioni che a volte riportano solo per sentito dire e che spesso dicono proprio il contrario di quanto ha inteso dire l’autore classico522. La frase in questione riguarda l’ultimo giorno di vita del filosofo, tanto preso dalla felicità che lo aspettava dopo la morte da non sentire il forte dolore di una calcolosi che, a quanto pare, doveva essere di grande intensità, visto che lo stava conducendo alla fine.

518 Di Abramo, l’amico di Dio, è detto che abitava presso la quercia di More (Gen 12,6). Di Giacobbe è detto: Essi (i figli) consegnarono a Giacobbe tutti gli dei stranieri che possedevano e i pendenti che avevano agli orecchi (simboo anch’essi di fedeltà nell’amore e nell’amicizia); Giacobbe li sotterrò sotto la quercia presso Sichem (Gen 35,4). Troviamo inoltre: Allora morì Dèbora, la nutrice di Rebecca, e fu sepolta al disotto di Betel, ai piedi della quercia, che perciò si chiamò Quercia del Pianto (Gen 35,8).
519 Cfr SANTA TERESA DI GESÙ, Il Castello interiore in Op. cit. . La santa diceva che solo Dios basta. Anche il motto di santa Giovanna Antida, fondatrice delle suore della Carità, era Dio solo.
520 Il cuore, sempre nel senso ebraico di lev, cioè di mente-cuore, quando è ben purificato e liberato dalla terra, diviene il centro da cui promana il meridiano del cuore, come lo chiama Bruno, cioè tutto l’uomo, la cristallina pietra filosofale, il Sé.
521 GREGORIO DI NISSA, Omelia 6, sulle beatitudini; PG 44, 1270-1271.
522 Di Epicuro; egli stesso subirà la stessa sorte.


Raffaella Ferragina

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