Percorsi di lettura del pensiero di Giordano Bruno

Scritti del filosofo Nolano. Commenti su di essi e note sul suo pensiero.

Percorsi di lettura del pensiero di Giordano Bruno

Messaggioda raffaella » 08/06/2013, 18:25

Conferenza tenuta ai Lions di Nola sul tema

Percorsi di lettura del pensiero di Giordano Bruno

Si dice che i Nolani nascano in un’aria di inconscio conflitto tra Bruno e San Paolino. Nata a Nola, io penso di non aver mai incontrato Bruno, perché Bruno appartiene all’aria che respiriamo, pur tuttavia posso dividere in tre tappe la mia esperienza di lui. Quando presi per la prima volta in mano qualcuno dei suoi dialoghi italiani, la mia reazione al suo modo di scrivere non fu positiva. Lo trovai confuso; in più, non mi piacquero certe sue allusioni al mistero di Cristo, che allora giudicai, non solo non devote, ma anche oscuramente blasfeme. Fu un’esperienza che durò poco e mi lasciò triste e mortificata, ma anche con alcuni interrogativi. Mi chiedevo: come aveva potuto un domenicano scrivere così? e come era potuto diventare il così grande e famoso filosofo? ma c’erano anche altri interrogativi; il primo era questo: come potevo io che amavo il buon profumo di Cristo, continuare ad amare anche lui, perché in fondo, sentivo che continuavo ad amarlo; e poi, perché il Signore aveva permesso per lui una morte, in fondo, così gloriosa e così simile alla sua? Non trovai risposte ai miei quesiti, e anni dopo, veicolai il tutto nella seguente poesia del 1987:

Cristo e anticristo

Bruno, fratello,
figlio della mia terra
sempre mi stringe il cuore
il pensier di tua morte
e di tua vita.

Quando ti penso
fuggitivo e inquieto
al tuo pensiero
libertà cercando
e un’umana salvezza
mentre con cuore onesto
il sapere ed il vero
inseguivi come in un sogno
l’anima mia commossa
per te si intenerisce!

Una fierezza indomita
e il viril coraggio
della tua verità
empiamente ti strinsero
a un satanico rogo
che ancor brucia nei secoli
ma alla storia dà luce
e all’uomo addita
la libertà dell’uomo.

E se losche figure
negli anni di tua vita
e il volto bieco dell’umano poter
fûr velo agli occhi tuoi
sul volto amato nella giovinezza
troppo assomiglia a sua morte
la tua morte
per poter dubitare
della sua compiacenza.


La seconda volta in cui ebbi modo di riflettere su Bruno fu quando, su incarico del Presidente del Circolo G. Bruno di Nola, organizzai l’annuale manifestazione commemorativa del 17 febbraio. Poiché non mi sembrava più in linea con i tempi postconciliari mantenere il secolare antagonismo tra il Nolano e la sua Chiesa, oltre al prof. Masullo, pilastro di tali doverose manifestazioni, invitai il prof. Di Giovanni e anche Luigi Ceccarini, un gesuita, mio professore di morale; furono invitati anche il Vescovo di Nola, che allora era Mons. Giuseppe Costanzo, e vari altri sacerdoti di Nola. La manifestazione riuscì molto bene. Persino il gesuita disse cose molto positive sulla persona di Bruno; ma io, pur contenta del fatto, continuavo a rimanere perplessa.
L’anno seguente, secondo il consiglio del Prof. Masullo, invitammo l’insigne filosofo e sacerdote Italo Mancini. Nella sua relazione il prof. Mancini, che aveva avuto modo di studiare bene gli atti del processo, si mostrò nei confronti di Bruno ancora più benevolo del gesuita dell’anno precedente, e parlò di un chiaro cristianesimo bruniano. In privato, poiché dopo ebbi l’onore di averlo mio ospite, don Italo mi confermò la sua opinione che Bruno non fosse affatto un eretico e mi consigliò di leggere bene le sue difficili opere senza farmi fuorviare dalle apparenze.
Qualche tempo dopo, i miei alunni del Liceo Carducci mi chiesero una lezione sulla religiosità bruniana e un aiuto per la lettura della Cabala del cavallo pegaseo, l’opera su cui si sarebbe svolto il Certamen bruniano. Presi allora in mano, per la terza volta, le opere bruniane e, ricordando le parole di don Italo, cominciai a tradurre i brani più ardui. Quando potetti confrontarmi con quelle pagine senza le difficoltà che nascevano dall’italiano del ‘500 e dallo stile latineggiante - e a volte quasi impossibile - dell’autore, le mie reazioni furono del tutto diverse, anche perché incontrai temi, quali quelli della qabbalah ebraica e dell’alchimia, che, nel frattempo, (grazie anche allo studio dell’ebraico biblico e alle accuratissime decodificazioni di C. G. Jung) mi erano divenuti familiari.
Quello, sì, che fu un incontro sconvolgente e la mia fede cristiana nella comunione dei santi, avviò in me un processo di conoscenza esperienziale di Bruno davvero intenso. Ne nacque la traduzione in lingua corrente dell’intera Cabala del cavallo pegaseo ed è quasi pronta quella dello Spaccio della bestia trionfante.
Da un punto di vista culturale, ecco qui di seguito, in breve, le conclusioni a cui sono giunta: Il pensiero di Bruno racchiude in sé la sintesi della sapienza medievale, cioè la sintesi dei più sublimi saperi del suo tempo, già operata da un precedente filone domenicano sempre vicino alla spiritualità della qabbalah ebraica, che aveva visti impegnati in tal senso, Sant’Alberto Magno, lo stesso suo discepolo e grande dommatico San Tommaso, Meister Eckart, anch’egli domenicano e generale dell’Ordine e, in modo tutto particolare successivamente, il sacerdote Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. La sapienza di Bruno, dunque, non è fondata sulla filosofia di Aristotele, bensì su quella ebraica della qabbalah e sulla tradizione alchemica, che, a sua volta, sempre in chiave cristiana, aveva acquisito il sapere ermetico della tradizione degli Egizi, dei Greci, dei magi di Zaratustra e anche, per ciò che riguarda la sintesi di contrari, qualcosa della dottrina sul Tao di Lao Tse e di quella che egli chiama dei Gimnosofisti, cioè delle Upanishad vediche degli Indù. La si può chiamare genericamente cristianesimo ermetico; e che sia cristiana non è una mia tesi: lo afferma più volte e con forza Bruno stesso, e non c’è motivo per dargli anche del bugiardo, come dopo il processo ci si è presi la libertà di fare nell’ambiente accademico, anche se per la stessa Chiesa del suo tempo Bruno è un eretico, non un non-cristiano. Il problema attuale consiste, dunque, nel dimostrare che non c’è eresia in Bruno, non se egli sia o meno cristiano. Ma è comprensibile che chi conosce solo il modello scolastico per lo studio della teologia cristiana, e non è almeno iniziato all’ermetico sapere rinascimentale resti interdetto di fronte a certe pagine bruniane. L’unico accesso a Bruno più consono ai nostri tempi è la conoscenza dell’opera di C. G. Jung, perché profonde interconnessioni esistono tra gnosi, qabbalah e alchimia e tutte hanno alla base quella dottrina che poi Jung, nell’ambito della psicologia analitica, chiamerà degli archetipi dell’inconscio collettivo. Questa scuola di pensiero, per il colpo d’ala impresso, anche se in modo non confessionale, dal cristiano Jung, si distacca ampiamente dalla precedente e positivistica psicanalisi freudiana. Con Jung la gnosi ritorna pian piano a dare respiro al pur fondamentale cristianesimo dogmatico, che nato dalla gnosi, per paura delle follie dello gnosticismo, alla gnosi, nella sua predicazione e dottrina, aveva di fatto rinunciato. Come contatto diretto ed esperienziale con Dio e con l’aldilà, grazie ai simboli del sogno e della visione, la gnosi era nel ‘500 come ancora oggi, rinvenibile di fatto solo nella vita dei mistici cristiani, ma non aveva trovato più posto nei canoni della teologia spirituale, se non, appunto, indirettamente,attraverso lo studio di santi come Francesco d’Assisi, Caterina da Siena, Teresa d’Avila e altri. Per quel che riguarda la qabbalah, nelle opere bruniane la troviamo solo come metodo di base per le sue profondissime esegesi, tipo quella del ciclo di Sansone riportata nella Cabala pegasea dove, quasi in contrapposizione alla filosofia occidentale che segue, egli ripete pur senza grandi approfondimenti il vero e proprio catechismo cabalistico a cui già fa cenno nello Spaccio, mentre nel De Monade, lo studio numerico della tradizione cabalistica, assume un respiro più scientifico che religioso, attento sia al metodo che ai contenuti.
Il suo sforzo di creare una sintesi tra sapienza egizia, sapienza mitica greca, e sapienza ebraico-cristiana costituisce uno dei primi e più alti tentativi di inculturazione del cristianesimo, dopo di lui qualcosa di simile fu operata in Cina dal gesuita padre Matteo Ricci. Entrambi i tentativi finirono male, uno, con il rogo di Bruno e, l’altro, con l’aborto dell’evangelizzazione della Cina per la questione dei riti cinesi. Per riparlare di inculturazione bisognerà attendere i nostri giorni e il Concilio Vaticano II. In modo contrario alla visione scientifica galileiana - che poi si impose, e che, dopo l’illuminismo, scivolò pian piano, nell’esasperato attuale scientismo, con tutte le deformazioni che esso impone alla psiche umana – al nostro autore interessava organizzare un modello di studi che coniugasse insieme scienza e fede. Il vero sapere per Bruno non può prescindere dall’asinità della fede, di una fede che prenda le distanze dalla metafisica di Aristotele, per ritornare alla più sana, vera e originale mistica ebraica, senza disdegnare affatto, come già rilevato, i contributi sapienziali di ogni altra scuola o dottrina, ad es. quelle di Eraclito e Pitagora. Con il suo modello di studi, di certo non facile e schematico, Bruno si propone come nuovo Aristotele, specialmente nella Lampas triginta statuarum, e maestro di metodo, prima ancora di Cartesio, ma un metodo totalmente diverso.
Il magismo bruniano si presenta come la religione dei santi magi del Natale di Matteo, i primi che con la loro adorazione e con i loro doni, riconobbero il loro capo in Cristo; come re, per il simbolo dell’oro, come Dio, per quello dell’incenso, come salvatore, per la mirra simbolo dell’amarezza, ma anche dell’incorruzione. In Cristo, l’Agnello che scioglie i sigilli della verità, che dona le acque salutifere della ripurgazione, che si dona nudo sulla croce per tutti, Bruno vede il capitolo finale di ogni grande scuola di pensiero e di ogni religione. Bruno fu nemico dichiarato del cristianesimo greco (l’Orione tristemente famoso), perché non si può e non si deve imporre la filosofia e la metafisica di Aristotele a tutto il mondo. E si mostra intollerante - e anche intemperante e rabbioso, a volte, fino a giungere nei suoi sfoghi a un’apparente blasfemia - solo nei confronti dell’odiata Riforma con il suo insegnamento della fede senza le opere. Nella sua visione morale, la bestia da spacciare era principalmente la Riforma, perché proprio nello sforzo delle opere il cristiano assume l’atteggiamento di Cristo che porta su di sé, come l’asino cabalistico simbolo della divina Chokmah, il peccato del mondo (Il verbo tollere, che compare nella Vulgata di San Girolamo, significa “portare su di sé” non “togliere”).
Cristianesimo, dunque, certamente, ma anche magismo come sapienza e come fede coniugata a scienza: una strada certamente irta di tutti quei grandi pericoli che hanno sempre spaventato il sentimento materno della Chiesa nei confronti dei deboli di spirito e degli ignoranti. Si deve anche dire, però, che l’eccessivo protezionismo esercitato sulla fede dei credenti non ha salvato l’Italia, l’Europa e lo stesso continente americano dall’attuale scristianizzazione di fatto. E non è stato il magismo a rovinare la fede cristiana dell’Occidente, ma, al contrario, proprio lo scientismo con la totale divaricazione del mondo della cultura e della scienza da quello della religione. All’inizio dell’èra moderna, mentre l’astro di Galileo crebbe, fino a improntare di sé l’intera cultura occidentale, a causa della sua condanna, quello di Bruno diminuì; ma il rogo di Bruno aveva in sé i semi della crisi che alla fine della stessa èra ha investito, passando attraverso la Shoah, la spiritualità dell’Occidente. La dottrina bruniana avrebbe contemperato la divaricazione tra cristianesimo ed ebraismo, che fa apparire la madre Sinagoga - mi riferisco all’analogia bruniana della Cabala pegasea - totalmente estranea e nemica rispetto alla Chiesa figlia. Come si vede, non erano di scarso rilievo gli insegnamenti bruniani, e non lo sono tuttora. Lungi dall’essere non-cristiani, come addirittura pretendeva la Yates, e tanti altri autori, essi erano alla base del tentativo inglese di Bruno di adoperarsi per ricucire, non solo lo strappo della Riforma, non solo l’aggancio con la scolastica medievale - come risulta dalla Cena delle ceneri, e come anche la stessa Yates mette in luce - ma anche ripescavano quello con il precedente ebraismo, che fu la religione stessa del Signore, e che non ha mai perduto, secondo l’insegnamento dell’Apocalisse che è cristiana, il suo carattere salvifico, comunque ancorato, per noi Cristiani, allo stesso sacrificio di Cristo. Apocalisse ed Ecclesiaste furono i libri biblici più cari a Bruno, l’uno, perché segna, attraverso i simboli – quindi, senza l’assoluta prevalenza del linguaggio intellettuale - la riflessione conclusiva del mistero della salvezza in Cristo, cioè della rivelazione storica, l’altro perché avvia alla meditazione sulla rivelazione naturale. E Bruno riuscì a coniugarle entrambe senza preclusioni e senza eccessi.
Purtroppo, sull’insegnamento bruniano s’impresse il marchio babelico della confusione delle lingue, o meglio dei linguaggi diversi, che come esito finale di ogni èra storica e di ogni umana civiltà, colpì così anche il Medioevo cristiano e il più grande pensatore del secolo successivo. Oggi assistiamo alla conclusione di un altro ciclo babelico, quello dell’èra moderna caratterizzato, come nessun altro, dalla presunzione dell’uomo che, inebriato dal progresso della scienza e della tecnica, si pone al posto di Dio al centro dell’universo, come già sottolineava Pio XII nell’Enciclica Summi pontificato; e andiamo incontro al postmoderno, con grandi interrogativi sul futuro. Chi sa che questo stesso antico impianto dottrinale, grazie alla mediazione del grande Jung, non costituisca la base per un nuovo ciclo di civiltà e di spiritualità. Nell’Epistola dedicatoria della Cabala egli così scriveva:

“...eccovi, quindi, cabala, teologia e filosofia. Intendo dire una cabala di teologia filosofica, una filosofia di teologia cabalistica, una teologia di cabala filosofica”.

E cabala, teologia e filosofia sono annodate tutte nella sua opera, insieme alle varie discipline di volta in volta trattate. Fuse nella sua stessa esistenza, esse andavano a costituire il sapere magico; ma la magia bruniana non è che profondissima scienza psicologica, ed è Jung a esprimersi in tel senso. E sarebbe ora di rivisitare correttamente e in modo integrale e profondo la sapienza bruniana di cui, nonostante i quattrocento anni trascorsi, quasi niente è obsoleto, se ci si libera di quel modello scientistico che è la peste dei nostri giorni e che rende così triste la nostra vita e quella delle nostre giovani generazioni. Mi auguro che, comunque, a Giordano Bruno, con un’esatta comprensione del suo sapienziale pensiero filosofico e della sua integra cristiana spiritualità sia resa giustizia.
Nella mia edizione della Cabala del cavallo pegaseo, la più enigmatica e “intrigante” delle opere bruniane, come curatrice, ho inteso favorire una lettura della sapienza e della persona di Giordano Bruno ai “non addetti ai lavori”, senza pregiudizi e nella visione cristiana, sempre da lui stesso sollecitata - senza, per questo, accusare o difendere l’operato della Chiesa, come neppure quello di Bruno, per partito preso. Gli argomenti trattati in proposito sono il contesto e i fondamenti della sua dottrina, alcune nozioni sulla rivelazione naturale e su quella biblica, la posizione di Bruno tra Cattolicesimo e Protestantesimo, il suo concetto di materia, il rapporto tra gli archetipi junghiani e la c. d. “religione egizia” di Bruno, il Cristianesimo velato del discusso autore e le sue confessioni, il costo del suo rogo per la stessa Chiesa, il difficile rapporto di Bruno con gli accademici e lo scempio dei suoi scritti da parte di atei e antiteisti.
A ogni parte dell’opera bruniana ho ritenuto opportuno premettere un’introduzione e moltissime note per agevolarne la lettura; a volte, anche un commento. Lo stile del lavoro, di tipo semplice e divulgativo, è appositamente voluto per non scoraggiare il lettore non iniziato, che può procedere così nella lettura per comprendere o per farsi almeno un’idea degli argomenti trattati che, per la loro natura, sono tra i più alti dello scibile. Il testo della Cabala e i brani dell’autore riportati da altre opere sono stati anch’essi tradotti in un italiano corrente ma piuttosto fedele a beneficio di coloro - e non sono pochi - che, pur amando la persona di Bruno, non hanno il tempo, la pazienza e la preparazione necessaria per leggere le sue opere nella forma originale.
Altri temi trattati (sempre nel modo più sobrio e lineare possibile) sono il distacco del Cristianesimo dalla matrice ebraica avvenuto nei primi secoli, il misticismo e la cabala ebraica, nel cui contesto si situa l’autore; seguono quelli della reincarnazione (non accettata dall’autore sic et simpliciter), quello dell’unicità dell’universo, la polemica di Bruno (che privilegia la sapienza) contro la filosofia classica, l’ermetismo bruniano, la medicina alchemica di Paracelso condivisa da Bruno, il confronto tra sapienza ermetica e scienza moderna, l’alchimia letteraria di Bruno e il rapporto tra la stessa e la psicologia analitica di Jung, nonché alcune elementari nozioni del lessico alchemico.
Dopo questo mio primo lavoro, e giunta quasi alla fine di quello ben più lungo dello Spaccio, pur confessando la fatica che mi sono costati, debbo riconoscere che tutto quello che ho potuto dare alla causa di Bruno è niente di fronte a quello che, come insegnamento, ho ricevuto da lui, in cultura umana e in cristiana spiritualità. E concludo, secondo lo stile bruniano, con un’altra poesia, del 1997, nella quale lo stesso Bruno è uno dei protagonisti. L’altro è il cabalista ebreo rabbi Aquibah, condannato al rogo dai Romani, dopo la seconda rivolta giudaica nel IV secolo. Diede l’ultimo respiro dicendo, quale professione di fede nel Dio uno, ‘echad, che significa, appunto, “uno”:

Il Rogo

Divampa come fuoco il desiderio
e alle tue fiamme stringe, rabbi Aquibà,
mio strano amore nato dal Libro

Ed il pensiero corre a un altro rogo,
al tuo, Filippo Bruno, avido
ed incompreso cercatore di luce.

Mai quel vostro coraggio sarà mio;
pure, non so perché, da quando
v’ho incontrati brucio con voi.

In quel tuo lungo ‘ecad,
tuo ultimo respiro
tieni anche me Aquibà,

tieni anche noi nel tuo sofferto
bacio d’amore, mentre a Lui rendi
quel che è soltanto suo.

Stella d’oriente e Libro
ne guideranno a Bet-lèchem,
coi Magi alla Casa del Pane:

saremo insieme costellazioni
dello spazio-tempo, stelle piccole
e grandi, non vicine, eppur già fuse

in unico splendore
e in misteriosa forma
che tutte le trascende.
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Re: Percorsi di lettura del pensiero di Giordano Bruno

Messaggioda Nuvolina » 18/03/2014, 19:09

Voglio essere la stellina più piccola ma vicina a Loro e a te.
Sara
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