LA MENTE tra SPIRITO E MATERIA

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LA MENTE tra SPIRITO E MATERIA

Messaggioda raffaella » 08/06/2013, 16:59

LA MENTE tra SPIRITO E MATERIA ovvero I PROCESSI IMMAGINATIVI tra SPIRITO E MATERIA

Sul tema di questo convegno Oscar Wilde scriveva: “

… Anima e corpo, corpo e anima, com’erano misteriosi! Nell’anima c’era dell’animalità e il corpo aveva momenti di spiritualità: i sensi potevano affinarsi e l’intelletto degradarsi. Chi poteva dire dove finiva l’impulso carnale oppure dove cominciava l’impulso fisico? Com’erano superficiali le definizioni arbitrarie degli psicologi comuni! Eppure, quant’era difficile decidere tra le asserzioni delle varie scuole! L’anima è un’ombra che dimora nella casa del peccato? oppure il corpo è realmente nell’anima, come pensava Giordano Bruno ? La separazione tra spirito e materia è un mistero e l’unione tra spirito e materia è parimenti un mistero ”.

Alla visione medievale dell’universo, fondata sulla interdipendenza profonda tra spirito e materia, seguì la concezione mentale del cosmo come di un meccanismo perfetto. Le conquiste della così detta rivoluzione scientifica obbligarono sempre più in tal senso. Copernico, Keplero, Galileo, Bacone e, infine, Cartesio e Newton sono i pilastri portanti di una linea di evoluzione del pensiero che ha permesso all’uomo di uscire definitivamente dalle nebbie medievali ma, nello stesso tempo, ha posto una pesante ipoteca sulla vita e sul pensiero dell’uomo dell’era moderna. Heisenberg, uno dei padri della fisica nucleare, scrisse:
La divisione cartesiana di materia e spirito è penetrata profondamente nella mente umana durante i tre secoli che seguono Descartes e ci vorrà molto tempo perché possa essere sostituita da un atteggiamento veramente diverso nei riguardi del problema della realtà 781.
Mentre G. Bruno aveva cercato di conciliare scienza e fede, sapere e sapienza in una cultura eclettica che univa, ai valori della civiltà cristiana, i più significativi tra quelli presenti nell’ermetismo, nella qabbalah, nella cultura classica e nell’alchimia, fino a giungere a una visione di sapienza magica  , come studio del visibile e dell’invisibile interconnessi, con Galileo si andò affermando la divaricazione tra scienza e fede e l’esigenza di una descrizione matematica della natura, per cui si dovette scegliere di orientare lo studio su quelle proprietà della materia che si rivelavano atte ad essere misurate, quantificate ed espresse nel linguaggio della matematica. Altri aspetti dei corpi materiali, qualificabili più che quantificabili, furono considerati soggettivi e quindi aleatori e decisamente esclusi dalla dimensione scientifica.

Un alchimista quasi contemporaneo a Bruno e Galileo, Martin Ruland , scrive nel Lexicon alchimiae,: “L’immaginazione è l’astro nell’uomo, il corpo celeste o superceleste  ”. Jung trova sorprendente questa definizione che getta una luce tutta particolare sui processi fantastici collegati all’Opus; magnum; essi non sarebbero da considerarsi di natura fantasmatica, ma come corpi sottili “di natura semispirituale”  . L’immaginatio dell’alchimista si rivela, in questo modo, alla pari delle quintessenze, un estratto concentrato di forze vive, tanto corporee quanto psichiche , che produce un’attività di tipo fisico inserita nel ciclo delle trasformazioni materiali che andava a determinare e da cui veniva determinata  . Si apre così il discorso sui rapporti tra materia e spirito. Per Jung
“Prima o poi la fisica atomica e la psicologia dell’inconscio si avvicineranno in modo significativo, giacché, entrambe, indipendentemente l’una dall’altra e da parti opposte, si addentrano nel terreno trascendentale, la prima con l’idea di atomo, la seconda con quella di archetipo. L’analogia con la fisica non è una digressione, in quanto uno stesso schema simbolico rappresenta la discesa nella materia e postula l’identità tra esterno e interno. La psiche non può esser qualcosa di “totalmente altro” dalla materia, perché come potrebbe altrimenti muoverla? E la materia non può essere estranea alla psiche, perché come potrebbe altrimenti produrla? Il mondo di psiche e materia è il medesimo e l’una partecipa dell’altra, altrimenti l’interazione sarebbe impossibile. Si dovrebbe perciò, arrivare, se solo la ricerca potesse essere spinta abbastanza avanti, a una concordanza ultima tra i concetti fisici e psicologici 1 ”.
Egli scrive altrove che bisognerebbe scoprire, nella materia, il germe dello spirito e, nello spirito, il germe della materia  ; una certa “animazione” in quest’ultima metterebbe in questione l’assoluta immaterialità dello spirito, al quale bisognerebbe, a sua volta, attribuire una sorta di sostanzialità . Entrambe le evoluzioni sono state, in un certo senso, anticipate dall’alchimia, anche se nella forma soltanto simbolica dello hieròs gamos degli opposti.
Sia nell’alchimia, che nella qabbalah, l’unione degli opposti era realizzata sotto il simbolo dell’albero. Jung afferma che, nella storia dei simboli, l’albero, con le sue radici in terra e la chioma in cielo, rappresenta la via e la crescita verso l’immutabile, l’eterno che nasce dall’unione degli opposti e che rende quest’unione possibile proprio grazie al suo eterno esser presente. Ancora oggi, anche se con il tramonto dell’alchimia l’unità simbolica di spirito e di materia è andata in frantumi – per cui, l’uomo moderno si sente sradicato ed estraneo in una natura svuotata dell’anima – l’inconscio dell’uomo ricorre nei suoi sogni al simbolo dell’albero cosmico, come simbolo dell’uomo stesso; questo concetto era presente già nella qabbalah come albero della vita.
Jung esprime, in proposito, la speranza che, come il possente sviluppo delle scienze naturali condusse a una precipitosa detronizzazione dello spirito e a un’altrettanto sconsiderata deificazione della materia, così lo stesso impulso alla conoscenza scientifica di oggi possa gettare un ponte sul gigantesco abisso apertosi tra le due concezioni del mondo per un’unificazione nuova di terra e cielo, di materia e spirito  , perché solo nell’esperienza della realtà simbolica, l’uomo potrà ritrovare la via del ritorno a un mondo in cui non si senta estraniato dalle profondità della sua psiche, cioè dal Sé  .
A proposito dell’importanza dei simboli per il processo di conoscenza, sempre Jung afferma che, secondo la sua esperienza, è di considerevole importanza pratica che i simboli miranti alla totalità vengano giustamente compresi, dal momento che essi costituiscono il rimedio con cui si possono eliminare le dissociazioni nevrotiche, essi riconducono alla coscienza ciò che gli alchimisti chiamavano il “loro” Mercurio. Tale misteriosa entità, che da sempre è sentita dall’umanità come qualcosa di liberante e risanatrice fin dai tempi più remoti facilitò con la sua funzione ascendente il tanto necessario collegamento della coscienza con l’inconscio.
Gli alchimisti esprimevano il concetto della necessaria integrazione tra conscio e inconscio con il simbolo delle nozze chimiche di sol et luna. Il simbolo ha il grande vantaggio di riuscire a contenere in una immagine “unica” fattori eterogenei, per loro natura addirittura incommensurabili.
L’unione tra coscienza e inconscio non si può compiere in modo né intellettuale, né puramente pratico; nel primo caso si ribellerebbe la sfera istintiva, nel secondo si opporrebbero ragione e morale  . Le immagini oniriche si possono accogliere nella coscienza e comprendere con l’intelletto e il sentimento solo se la coscienza possiede le categorie intellettuali e i sentimenti morali necessari a riceverle.


L’integrazione tra coscienza e inconscio, che Jung chiama funzione trascendente  , non si può attuare che attraverso un dialogo cosciente con l’inconscio, e questo è possibile soltanto se si capisce il linguaggio dell’inconscio. Ogni dissociazione nel campo delle nevrosi psicogene deriva da una simile opposizione che può essere ridotta all’unità solo attraverso il simbolo.
A questo scopo, i sogni producono simboli che sempre coincidono con la simbolica storicamente trasmessa e che ha costituito l’oggetto della ricerca junghiana. Attraverso di essi si può ristabilire il perduto rapporto con percezioni che consentono la reintegrazione della personalità, ma anche il radicamento della vita teologale.
Dunque l’ampliamento della coscienza è un processo di sviluppo psichico che si esprime in simboli. Le produzioni spontanee della fantasia si approfondiscono e si concentrano intorno a figure già rinvenibili nei miti o in disegni che coniugano cerchi e quadrati (mandala. di tipo orientale o in occidente icone del tipo Cristo con i quattro evangelisti, iquattro esseri viventi di Ezechiele o, ancora, in Egitto Horus e i suoi quattro figli.
La volontà cosciente e l’inconscio collettivo sono i contrari da unire. I loro linguaggi sono diversi. Mentre la coscienza ha un linguaggio logico, l’inconscio si esprime con quello dei simboli, primitivo linguaggio o lingua unica prebabelica. Il simbolo però è nello stesso tempo anche l’intuizione più profonda della coscienza che è capace di concettualizzarlo con intensa lucidità ma in limiti ristretti contro l’infinita vastità dell’inconscio collettivo.
Tale necessario incontro non è però senza rischi perché l’inconscio esercita sulla coscienza debole un effetto dissolvente. Di qui l’esigenza del mandala, del temènos, come lo chiamavano i Greci, il così detto cerchio magico che protegge l’unità della coscienza contro la dispersione provocata dall’inconscio con la conseguente scissione della mente o inflazione dello spirito. Ma quando si lavora sapientemente sui simboli dell’inconscio prodotti da una determinata persona, l’indice di benessere della stessa aumenta sia sul lato psichico che spirituale; e, si può aggiungere, grazie ai progressi della medicina psico-somatica, anche su quello fisico.



Sul tema di questo convegno, LA MENTE tra SPIRITO E MATERIA, O. Wilde scriveva: “… Anima e corpo, corpo e anima, com’erano misteriosi! Nell’anima c’era dell’animalità e il corpo aveva momenti di spiritualità: i sensi potevano affinarsi e l’intelletto degradarsi. Chi poteva dire dove finiva l’impulso carnale oppure dove cominciava l’impulso fisico? … La separazione tra spirito e materia è un mistero e l’unione tra spirito e materia è parimenti un mistero”.
Alla visione medievale dell’universo, fondata sulla interdipendenza profonda tra spirito e materia, seguì la concezione mentale del cosmo come di un meccanismo perfetto. Galileo, Bacone, Cartesio e Newton sono i pilastri portanti di una linea di evoluzione del pensiero che ha permesso all’uomo di uscire definitivamente dalle nebbie medievali ma, nello stesso tempo, ha posto una pesante ipoteca sulla vita e sul pensiero dell’uomo dell’era moderna. Heisenberg, uno dei padri della fisica nucleare, scrisse: “La divisione cartesiana di materia e spirito è penetrata profondamente nella mente umana durante i tre secoli che seguono Descartes e ci vorrà molto tempo perché possa essere sostituita da un atteggiamento veramente diverso nei riguardi del problema della realtà”.
Mentre G. Bruno aveva cercato di conciliare scienza e fede, sapere e sapienza in una cultura eclettica che univa, ai valori della civiltà cristiana, i più significativi tra quelli presenti nell’ermetismo, nella qabbalah, nella cultura classica e nell’alchimia, fino a giungere a una visione di sapienza magica , come studio del visibile e dell’invisibile interconnessi, con Galileo si andò affermando la divaricazione tra scienza e fede e l’esigenza di una descrizione matematica della natura, Altri aspetti dei corpi materiali, qualificabili più che quantificabili, furono considerati soggettivi e quindi aleatori e decisamente esclusi dalla dimensione scientifica.
Per riaprire il discorso sui rapporti tra materia e spirito bisognerebbe scoprire, nella materia, il germe dello spirito e, nello spirito, il germe della materia ; una certa “animazione” in quest’ultima metterebbe in questione l’assoluta immaterialità dello spirito, al quale bisognerebbe, a sua volta, attribuire una sorta di sostanzialità . Entrambe le evoluzioni sono state, in un certo senso, anticipate dall’alchimia, anche se nella forma soltanto simbolica dello hieròs gamos degli opposti.
Sia nell’alchimia, che nella qabbalah, l’unione degli opposti era realizzata sotto il simbolo dell’albero. Jung afferma che, nella storia dei simboli, l’albero, con le sue radici in terra e la chioma in cielo, rappresenta la via e la crescita verso l’immutabile, l’eterno che nasce dall’unione degli opposti e che rende quest’unione possibile proprio grazie al suo eterno esser presente. Ancora oggi, anche se con il tramonto dell’alchimia l’unità simbolica di spirito e di materia è andata in frantumi – per cui, l’uomo moderno si sente sradicato ed estraneo in una natura svuotata dell’anima – l’inconscio dell’uomo ricorre nei suoi sogni al simbolo dell’albero cosmico, come simbolo dell’uomo stesso; questo concetto era presente già nella qabbalah come albero della vita.
Per gettare un ponte sul gigantesco abisso apertosi tra le due concezioni del mondo, per riunire di nuovo terra e cielo, materia e spirito , è necessaria l’esperienza della realtà simbolica, grazie alla quale l’uomo potrà ritrovare la via del ritorno a un mondo in cui non si senta estraniato dalle profondità della sua psiche, cioè dal Sé . Gli alchimisti esprimevano il concetto della necessaria integrazione tra conscio e inconscio con il simbolo delle nozze chimiche di sol et luna.
L’unione tra coscienza e inconscio non si può compiere in modo né intellettuale, né puramente pratico; nel primo caso si ribellerebbe la sfera istintiva, nel secondo si opporrebbero ragione e morale . Le immagini oniriche si possono accogliere nella coscienza e comprendere con l’intelletto e il sentimento solo se la coscienza possiede le categorie intellettuali e i sentimenti morali necessari a riceverle.
L’integrazione tra coscienza e inconscio, che Jung chiama funzione trascendente , non si può attuare che attraverso un dialogo cosciente con l’inconscio, e questo è possibile soltanto se si capisce il linguaggio dell’inconscio. Ogni dissociazione nel campo delle nevrosi psicogene deriva da una simile opposizione che può essere ridotta all’unità solo attraverso il simbolo. A questo scopo, i sogni producono simboli che sempre coincidono con la simbolica storicamente trasmessa e che ha costituito l’oggetto della ricerca junghiana. Attraverso di essi si può ristabilire il perduto rapporto con percezioni che consentono la reintegrazione della personalità, ma anche il radicamento della vita teologale.
Dunque l’ampliamento della coscienza è un processo di sviluppo psichico che si esprime in simboli. Le produzioni spontanee della fantasia si approfondiscono e si concentrano intorno a figure già rinvenibili nei miti o in disegni che coniugano cerchi e quadrati (mandala. di tipo orientale o in occidente icone del tipo Cristo con i quattro evangelisti, iquattro esseri viventi di Ezechiele o, ancora, in Egitto Horus e i suoi quattro figli. La volontà cosciente e l’inconscio collettivo sono i contrari da unire. I loro linguaggi sono diversi. Mentre la coscienza ha un linguaggio logico, l’inconscio si esprime con quello dei simboli, primitivo linguaggio o lingua unica prebabelica. Il simbolo però è nello stesso tempo anche l’intuizione più profonda della coscienza che è capace di concettualizzarlo con intensa lucidità ma in limiti ristretti contro l’infinita vastità dell’inconscio collettivo. Tale necessario incontro non è però senza rischi perché l’inconscio esercita sulla coscienza debole un effetto dissolvente. Di qui l’esigenza del mandala, del temènos, come lo chiamavano i Greci, il così detto cerchio magico che protegge l’unità della coscienza contro la dispersione provocata dall’inconscio con la conseguente scissione della mente o inflazione dello spirito. Ma quando si lavora sapientemente sui simboli dell’inconscio prodotti da una determinata persona, l’indice di benessere della stessa aumenta sia sul lato psichico che spirituale; e, si può aggiungere, grazie ai progressi della medicina psico-somatica, anche su quello fisico.





Non mi presento come un poeta, dalle labbra melliflue, non sono raffinato e attraente per la grazia di Ganimede, mielato, elegante, terso, tronfio del mio bello stile. Sono brusco, irsuto, rozzo, aspro, duro, asciutto. Sarò colui a cui non mancano castagne ed è abbondanza di formaggio. Riecheggia ben distinto in alto il suono della mia zampogna, non dolcemente, forse, per chi non vi è abituato e anche da lontano risuona in modo chiaro e riempie il piano per un largo tratto. Dotta, l’Eco risponde alle note, reiterandole, e testimonia che tutto è impresso nel suo arcano senso: essa incita ed esorta le astanti dee ad assistere chi compone versi con tanta vena, a plaudire, a danzare ritmica-mente e a muovere le membra con leggiadra arte. Io, calcando a mia volta le orme caprine di Pane, non ripeto l’eco, memore dell’ira di Giunone; nessun Cesare ha concesso a noi questi ozi: non ci è data la dolcezza che Penelope ha riservato all’indugiante Ulisse, una voce così femminile non si addice ad un Satiro barbuto, sebbene io l’ammiri, l’ami e la onori e per un volto ciprigno (come se avessi visto un nume) impazzisca, muoia, venga meno, esca fuori di me.
Danza con virile e forte piglio il Fauno, avvicinandosi alle Ninfe e vagando oltre i Ciparissi; e non vuole che l’oggetto del suo amore sia imitato in altri.
Io, poiché la natura mi ha creato irsuto, non imparerò mai ad adattare smeraldi alle mie rozze dita, ad arricciare la mia chioma, a tingere il mio volto di un roseo colore, ad adornare il mio capo di profumati giacinti, ad atteggiarmi mollemente, a danzare dolcemente, a falsare la mia voce, quasi uscisse da una gola tenerella, per non comportarmi da ragazzo, uomo come sono, e per non divenire da maschio, femmina.
Se così sono fatto, grazie agli Dei, mi conserverò qual sono, severo, virilmente forte nelle membra, intrepido, indomito e con voce maschile dirò ai Narcisi: le Ninfe hanno molto amato anche me.

In questa edizione della Cabala del cavallo pegaseo, la più enigmatica e “intrigante” delle opere bruniane, come curatrice ho inteso favorire una lettura della sapienza e della persona di Giordano Bruno ai “non addetti ai lavori”, senza pregiudizi e nella visione cristiana, sempre da lui stesso sollecitata - senza, per questo, accusare o difendere l’operato della Chiesa, come neppure quello di Bruno, per partito preso.
Gli argomenti trattati in proposito sono il contesto e i fondamenti della sua dottrina, alcune nozioni sulla rivelazione naturale e su quella biblica, la posizione di Bruno tra Cattolicesimo e Protestantesimo, il suo concetto di materia, il rapporto tra gli archetipi junghiani e la “religione egizia” di Bruno, il Cristianesimo velato del discusso autore e le sue confessioni, il costo del suo rogo per la stessa Chiesa, il difficile rapporto di Bruno con gli accademici e lo scempio dei suoi scritti da parte di atei e antiteisti.
A ogni parte dell’opera bruniana ho ritenuto opportuno premettere un’introduzione e moltissime note per agevolarne la lettura e, a volte, anche un commento. Lo stile del lavoro, di tipo semplice e divulgativo, è appositamente voluto per non scoraggiare il lettore non iniziato, che può procedere così nella lettura per comprendere o per farsi almeno un’idea degli argomenti trattati che, per la loro natura, sono tra i più alti dello scibile. Il testo della Cabala e i brani dell’autore riportati da altre opere sono stati anch’essi tradotti in un italiano corrente ma piuttosto fedele a beneficio di coloro - e non sono pochi - che, pur amando la persona di Bruno, non hanno il tempo, la pazienza e la preparazione necessaria a leggere le sue opere nella forma originale.
Altri temi trattati (nel modo più sobrio e lineare possibile) sono il distacco del Cristianesimo dalla matrice ebraica avvenuto nei primi secoli, il misticismo e la cabala ebraica nel cui contesto si situa l’autore; seguono quelli della reincarnazione (non accettata dall’autore sic et simpliciter) e quello dell’unicità dell’universo; e ancora la polemica di Bruno (che privilegia la sapienza) contro la filosofia classica, l’ermetismo bruniano, la medicina alchemica di Paracelso condivisa da Bruno, il confronto tra sapienza ermetica e scienza moderna, l’alchimia letteraria di Bruno, il rapporto tra la stessa e la psicologia analitica di Jung, nonché alcune elementari nozioni del lessico alchemico.

Giordano Bruno - Lo Spaccio della Bestia Trionfante, traduzione in italiano corrente, note e introduzioni a cura di Raffaella Ferragina. Appendice III
Centro studi ermetici Giordano Bruno, Nola
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